Solo alcuni decenni ci separano dal tempo della civiltà contadina (per intenderci il tempo dei nostri padri e dei nostri nonni) eppure questo mondo sembra lontanissimo dal nostro e pare essere scomparso senza aver lasciato traccia.
Il più delle volte le testimonianze in esso raccolte risultano ai nostri figli e ai nostri nipoti quasi incomprensibili e surreali. Non ci identifichiamo più in miti, in credenze e valori che scontatamente riteniamo distanti da noi anni luce.
Buona parte degli utensili presenti in questa mostra corrispondono ad altrettanti oggetti misteriosi : gremula, penac, brendenai, midal, sbadigiarói, ecc. La maggior parte dei visitatori ne ignora l’uso ed anche i nomi dialettali, specialmente ai più giovani, risultano completamente sconosciuti.
Allora quale valore può assumere il paziente lavoro di ricostruzione della casa contadina compiuto a Ripalta Cremasca da Corrado Barbieri, dagli amici di Concrescis con il fattivo patrocinio del Comune?
Quale finalità li ha spinti dandosi l’impegno di ricostruire interni ed esterni del mondo agricolo di un secolo fa, abitato dagli agricoltori cremaschi?
Non è certo una volontà legata al revival nostalgico-idilliaco verso momenti storici che tutti conosciamo essere stati irti di difficoltà sociali, politiche ed economiche.
Tuttavia questa iniziativa risulta meritoria in quanto può portare alla memoria esempi materiali dai quali traiamo occasione per cogliere tanti spunti e suggerimenti positivi :
– forse non ce ne rendiamo conto ma la rassegna dedicata alle abitazioni coloniche locali entra nel vivo e ripercorre le radici della nostra storia, una origine che non è possibile ignorare. – Quel mondo povero, fatto di sacrifici estenuanti, di privazioni materiali nasconde tesori, valori di solidarietà e ospitalità oggi andati persi. È bene conoscerli perché potrebbero tornare ad esser utili.
Ad esempio : la straordinaria capacità manuale che il tecnicismo moderno ha fatto perdere. La parsimonia, il senso del risparmio oculato. Sono in molti ormai a pensare che le riserve naturali del pianeta prima o poi scompariranno fagocitate da un consumismo incontrollato. Anche l’ obsolescenza programmata può far crescere la produzione e di conseguenza il Prodotto Interno Lordo, ma prima o poi sarà necessario riscoprire la sapiente pratica del riutilizzo per far fronte alle carenze energetiche.
-attraverso l’attenta osservazione di questi umili oggetti della cultura materiale scopriamo la nostra identità, ciò che siamo. E questa conoscenza rappresenta il miglior antidoto nei confronti di qualsiasi forma di intolleranza verso i nostri interlocutori, da qualunque parte provengano. Quando la conoscenza della propria cultura è ben radicata non si teme d’esser sopraffatti dagli altri.
-Il messaggio offerto dall’ esposizione etnografica ci insegna quindi che non esiste solo un pensiero unico, fondato sull’utilizzo predatorio e sulla competizione ma abbiamo la possibilità di scegliere tra altri modelli basati non necessariamente sull’utilitarismo ma anche dono, sulla reciprocità che incontrano le esigenze di un futuro aperto allo sviluppo sostenibile.
Il vero senso di ogni ricerca antropologica e anche di questa iniziativa è un invito a considerare che l’uomo liberato dal servizio dell’uomo, se veramente vuole mantenere la sua indipendenza, deve ricordare le esperienze del passato.
Tutto questo dovrebbe indurlo a non cadere sottomesso al servizio dell’ economia, della tecnologia e rimanere così vittima del suo stesso egoismo.
w.v.
I CANTI DELLA MERLA
Come, quando, perchè
A partire dagli anni ’70, ad opera di alcuni appassionati di tradizioni popolari, riprese nelle campagne del Cremonese e del Cremasco, durante le serate del 30-31 gennaio e 1 febbraio, la rappresentazione dei tri dé de la merla. Questa consuetudine, perdurata fino agli anni trenta era andata lentamente scomparendo. Il suo ripristino è stato possibile solo grazie ai ricordi raccolti tra le persone più anziane che abitavano nei paesi rurali.
Si definisce “Merla” una vera e propria manifestazione pubblica costituita da canti e scene che si svolgevano alla sera, avevano per palcoscenico un carro agricolo, oppure venivano eseguite in postazione elevata, sopra le fascine situate nel bel mezzo dell’aia all’interno delle case rurali.
Cos’è la Merla?
La Merla è un RITO, cioè la ripetizione di comportamenti (canti, recite, scene processionali) eseguiti ogni anno in tempi e luoghi prestabiliti con medesime modalità e ottemperava a tre precise finalità :
– Finalità scaramantica: cacciare gli spiriti dell’inverno, allontanare la cattiva stagione, attraverso spari di fucile, battendo con bastoni piante e terreno. L’esecuzione di canti corali era basata su una ritmica emozionante, prevedeva con la partecipazione di due cori la cosiddetta distorna. Le evocazioni erano accompagnate da ritmi e sapevano creare profonde sensibilità emozionali in chi eseguiva e in chi ascoltava.
– Finalità esaugurale: la buona riuscita del rito propiziava il primo raccolto costituito dalle foglie del gelso (murù/muron). Questo avrebbe permesso l’allevamento del baco da seta e la raccolta delle “galète” cioè dei bozzoli che ogni famiglia contadina allevava nelle proprie case.
– Finalità Simbolica. Il simbolismo erotico, mai offensivo traspare e accompagna tutti i canti della Merla. Auspicare il risveglio della natura e quindi l’arrivo della primavera coincide, per gli animali così pure per l’uomo, con la formazione delle coppie e allude alla stagione degli amori. Al riguardo gli uccellini e le colombine che frequentemente compaiono nelle parole delle canzoni risultano chiaramente allusivi.
-PRIMO CANTO Nell’invito trà la roca ‘n més a l’éra a gettare la rocca sull’aia è chiaro il linguaggio sessuale usato nell’incipit che promette il rasserenarsi del tempo all’apparire pubblico della rocca . La rocca accompagnava il fuso nella filatura tradizionale. Sempre nel primo canto la brügna l’è fiurìda e via via nelle strofe successive il rimando esplicito al frutto con questo termine dialettale sottintende l’elemento femminile. Segue la bügada che configura una azione volta alla purificazione di tutta la comunità compatta nella partecipazione corale.
-Nel SECONDO CANTO l’acqua del Travacon / Tràacù si paventa l’ombra del tradimento amoroso ed il pensiero corre ad una nuova casa ed alla bella Rosina.
-Anche nel TERZO CANTO dedicato alla colombina bianca, il contenuto è chiaramente dedicato alla fasi del corteggiamento amoroso. Alla fine allusiva è l’immagine del pennuto (elemento maschile) che si butta nel mare o nel canale (elemento femminile) dove troverà finalmente la pace desiderata, annegando.
-Bell’uselin del bosch è il QUARTO CANTO quello più conosciuto. Il testo richiama l’usanza contadina secondo cui quando un giovane metteva incinta una ragazza i genitori di questa lo invitavano a sposarla inviando una letterina.
– IL QUINTO CANTO Chel uşelìn (uşelì) che canta traspaiono chiari i doppi sensi e l’invito esplicito della bella a tirar ‘na s-ciupetàda
– IL SESTO CANTO presenta la mascherata finale e si realizza con una azione drammatico-buffa. Le donne fuggono e si chiudono in stalla, recano in mano la scopa o i ferri da maglia, mentre gli uomini con il tabarro tengono il fiasco del vino. Dopo gli intercalari le parole che apostrofano il personaggio maschile e quello femminile (ciumbù/ ciumbon, purcassa ecc.) sottolineano il difficile rapporto di convivenza uomo/donna, ma la conclusione con l’entrata dell’uomo in stalla anticipa l’avvenuta riappacificazione che conclude il lieto fine.
La Merla è un Mito cioè racconto leggendario di quando i merli erano bianchi. E’ la storia di una Merla che per il tempo mite si era permessa di sfottere l’inverno. Quest’ultimo risentito mandò negli ultimi giorni di gennaio un freddo intensissimo. L’uccello per scaldarsi si rifugiò in un camino e così divenne nero.
Il lavoro dei campi esigeva la conoscenza preventiva della futura meteorologia riguardante tutti i periodi dell’arco annuale. Occorreva poter fissare i tempi della semina e quelli del raccolto. Da qui la necessità prevedere in anticipo, temperatura, clima e sbalzi di tempo.
I tre giorni della merla 30-31 di gennaio e 1 febbraio erano considerati i più freddi dell’anno e costituiscono la fine della cosiddetta ghirlanda cioè del calendario contadino. A partire dal 1 gennaio i giorni del mese riflettevano il clima che si sarebbe riprodotto nei successivi 12 mesi. Dal tredici fino al 24 gennaio il pronostico si ripeteva a ritroso. Il 25 gennaio è il giorno in cui si celebra la conversione di S. Paolo e tutti gli elementi atmosferici si sarebbero scatenati. I successivi 26.27.28. e 29 corrispondevano alle 4 stagioni ed il mese terminava con i 3 giorni della Merla.
RACCONTI DI PAURA NELLE PASTOCE CREMASCHE
Nel patrimonio orale delle pastoce cremasche spiccano una serie di racconti delle stalle che hanno per tema dominante la paura. Ne abbiamo scelte alcune dal repertorio a suo tempo proposto nella pubblicazione del Gruppo Antropologico Cremasco “Le noste pastòce” che hanno per filo conduttore la presenza delle cosiddette forze del male: demoni, fantasmi, streghe, spiriti, esseri mostruosi.
Questi angoscianti personaggi sono simbolo e metafora delle difficili prove che il contadino cremasco era chiamato ad affrontare nel corso della sua vita. Sono gli ostacoli del suo vissuto quotidiano (malattia, morte, sfortuna, povertà, fame, inganno, sfruttamento). Non si tratta quindi di semplici storielle destinate al passatempo e alla ricreazione.
L’elemento giustificativo, la loro importanza vengono forniti dalla funzione didattica che erano chiamate ad assolvere. Nelle narrazioni si evince come l’astuzia, la perseveranza, l’intraprendenza, l’intelligenza e la tenacia potevano portare alla vittoria anche i più deboli nel confronto con prepotenti e malvagi.
Gli eroi provengono dai soggetti più ingenui e indifesi delle fasce sociali: donne, bambini, giovani, contadini che attraverso una sorprendente capacità riescono ad emanciparsi e risolvono situazioni difficili e pericolose. Sanno riscattarsi, grazie al sangue freddo e alla caparbietà. Combattono contro prepotenti e inquietanti forze maligne. Trionfano e acquisiscono impensate ricchezze riuscendo perfino a beffare i cattivi di turno, li sconfiggono e si affrancano dall’endemica miseria. Raggiungono come premio una vita regale: sposano principesse e mettono le mani su tesori e ricchezze stregate custoditi dal diavolo che in questi racconti ha sostituito il drago delle più antiche saghe nordiche.
Ancora una volta la civiltà contadina si dimostra maestra di vita e grazie alla narrazione di storie semplici offre la capacità di ottenere l’attenzione dell’auditorio formato dai più giovani. Riesce ad educarli con facili e preziosi insegnamenti di vita. Questo patrimonio sapienziale rappresenta una valida lezione di esperienze. La gioventù è chiamata ad apprendere attraverso il divertimento. Forse varrebbe la pena considerare questa metodologia educativa spesso in antitesi con quella nozionistica accademica che tanto spesso finisce per affossare l’attenzione perché mortifica e reprime nei più piccoli ogni capacità creativa ed immaginativa.